Proprio in questo periodo in cui molta attenzione è data alla salute mentale (a breve ci sarà la giornata internazionale dei Disturbi del Comportamento alimentare) mi sembra ingiusto non ricordare chi l’approccio alle malattie mentali ha contribuito a cambiarlo davvero.
Infatti, esattamente l’11 Marzo di 101 anni fa nasceva Franco Basaglia (1924-1980) che è stato uno dei più influenti psichiatri del XX secolo, noto per il suo ruolo chiave nella riforma del sistema psichiatrico italiano e nella chiusura dei manicomi.
La sua opera ha dato vita alla Legge 180 del 1978, nota come “Legge Basaglia”, che ha sancito la fine dell’internamento manicomiale e promosso un nuovo approccio alla salute mentale basato sulla comunità e sulla dignità della persona.
A lui, tutti noi dobbiamo molto non solo per quello che ha dato ma per l’eredità lasciataci che continua a influenzare la psichiatria moderna, promuovendo un approccio basato sulla dignità, l’integrazione e il supporto comunitario.
Sebbene il sistema di salute mentale abbia ancora delle criticità, la sua riforma ha rappresentato una svolta storica nel trattamento delle patologie psichiatriche (Amaddeo, et al., 2015) e, a livello più generale, ha dato almeno “un là” a quel processo di riduzione del pregiudizio sociale verso le persone con disturbi psichiatrici (Saraceno, 2005).
Basaglia si oppose alla psichiatria tradizionale, che considerava i manicomi luoghi di segregazione piuttosto che di cura. Influenzato dalla fenomenologia, dall’esistenzialismo e dalla critica sociale.
Erving Goffman (1961) considerava il manicomio un'”istituzione totale”, dove il paziente perdeva la propria identità e diritti fondamentali e inizio a dare centralità alla persona sostenendo che la malattia mentale non deve essere ridotta a un mero disturbo biologico, ma va compresa nel contesto sociale e relazionale dell’individuo (Basaglia, 1968) tanto che la chiusura dei manicomi non significava abbandonare i pazienti, ma creare un sistema di cura territoriale basato su centri di salute mentale aperti, interventi domiciliari e integrazione con i servizi sociali (Del Giudice, 2001).
Basaglia promosse un modello di cura basato sulla comunità, sull’inclusione sociale e sulla partecipazione attiva del paziente al proprio percorso terapeutico (Rotelli, 1994). Concependo salute mentale – modello biopsicosociale (Tansella, 1996) – come il prodotto dell’influenza di fattori biologici, psicologici e sociali promosse un’idea di cura/terapia dove l’intervento non poteva ridursi alla mera gestione del farmaco bensì essere multidisciplinare la terapia non soltanto come una mera gestione del farmaco ma come un percorso di emancipazione e l’autonomia del paziente che, pertanto non deve essere isolato in un manicomio ma connesso ad una rete di servizi che operano in contesti reali, evitando l’isolamento del paziente e favorendo la sua autonomia (Mezzina, 2018).
Per me, che ho iniziato a lavorare con in testa la frase di Morandotti «Un ramo di pazzia abbellisce l’albero della saggezza», trovo tutto ciò straordinariamente rivoluzionario. Che poi, non scordiamoci mai che, come indicato da Grazia di Michele già nel 1988, “Solo i pazzi sanno amare”
«Non fanno indagini sul cuore
Non si chiedono se è giusto o no sognare
Solo i pazzi sanno andare
Lì dove il tempo è un illusione
Sanno che l’eternità è una stagione
Noi siamo qui così delusi, annoiati
Inconsolabili, perché io so che
Solo i pazzi sanno dare
Quel che ho perso con te
[……]»
Cristina Rigacci