Nel 1717 viene vietato il “Cantar Maggio” per richiedere le elemosine: il no alle contrade, alle confraternite e ai luoghi pii (anche se l’tento era benefico e di aiuto)

Li chiamavano “poveri vergognosi” perché, non essendo nati straccioni e miserabili, si vergognavano a chiedere l’elemosina e a mettere il piazza le loro vite bombardate. Erano state una malattia; un tracollo della bottega; un figlio in più che non si poteva mantenere; una figlia che dovevi svenarti per farle la dote; un accidenti quale che fosse che li avevano buttati ai margini. Ma non si poteva trattarli come nulla fosse. Si doveva assisterli. E lo si faceva con discrezione. Nascevano compagnie apposite: quella senese di fine Quattrocento era la Compagnia di Sant’Onofrio dei Poveri Vergognosi e confluì in quelle che poi si chiamarono Pie Disposizioni. Oppure la Compagnia Laicale di Sant’Anna dei Ciechi e Stroppiati, fondata, nei primi decenni del ‘600 tra i poveri ciechi e storpi, maschi e femmine allo scopo di assistere proprio tutte quelle persone che oltre a vivere in povertà avevano gravi handicap fisici. Ci si potrebbe riconoscere parti delle persone che oggi chiamiamo “fragili” e che vengono assistite in ambito sociale da cooperative apposite o da associazioni di volontariato. Che c’entra, direte, con il Cantarmaggio?

C’entra e oggi vi “tocca” un po’ di storia. L’11 maggio del 1717, infatti, il Concistoro del Comune di Siena emana un bando in base al quale proibisce non solo alle Contrade, ma anche alle Confraternite e ai luoghi pii di “Cantar Maggio”, sia di giorno che di notte. Un primo divieto era già stato emanato il primo maggio 1701 dato che, a causa della mancanza di precise delimitazioni territoriali, scoppiavano continue liti tra i vari gruppi di cantori che si incontravano per le vie cittadine a cantare gli stornelli che inneggiavano all’arrivo della Primavera per ottenere, in cambio, questue e elemosine.

Del resto i contradaioli fin dal XVI secolo erano soliti “Cantar Maggio” per le strade del proprio rione per ricevere elemosine destinate, ad esempio, a dire messe in suffragio dei contradaioli defunti (per le “po’r’anime del Purgatorio” è la locuzione popolare e vernacolare con le quali, per secoli, vengono definiti i morti), oppure, talvolta, addirittura per finanziare la costruzione o l’arricchimento dei propri oratori (vedi la richiesta fatta dal Nicchio, proprio nel 1701, o la Tartuca, o, la Pantera). Allo stesso modo membri di Confraternite e Compagnie laicali giravano per le stesse strade, con gli stessi canti a richiedere questue per i proprio scopi benefici. Tra l’altro il permesso veniva chiesto all’Arcivescovo e da lui doveva venire il placet per procedere al giro di richiesta delle elemosine.

Un manoscritto della fine del XVII secolo, conservato nella nella Contrada della Pantera, riporta moltissimi stornelli e dimostra come si possono coniugare gli elementi rituali antichi e attinenti alla cultura agraria e contadina con il livello lessicale e stilistico più vicino al mondo cittadino e i senesi si convinsero della bontà della Maggiolata come mezzo utile per raccogliere fondi. Ma a questa altezza temporale erano più le zuffe che le opere di bene per cui il rito del Maggio venne “rimandato fuori dalle mura” e in città si dovette trovare un altro modo per ottenere i fondi necessari per i propri scopi benefici, siano stati laici, siano stati religiosi o contradaioli.

Maura Martellucci

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