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Campi solari? Si. Risponde la psicologa

La scuola sta finendo e l’estate è ormai alle porte.

I ragazzi, impegnatisi durante tutto l’anno tra compiti e attività varie, appaiono stanchi e, fortunatamente, sempre più proiettati sulle vacanze e “le attività di svago” che, in questo periodo dell’anno, potranno dominare nelle loro giornate. Non a caso, nella nostra città, come un po’ in tutta l’Italia, si sente parlare di campi solari o attività di aggregazione per bambini e/o adolescenti con finalità ludiche, sportive o ricreative.

Perché ciò è tanto importante?

In psicologia, sin dai pionerestici contributi dei primissimi autori che si sono occupati di Infanzia e Adolescenza (Freud, Winnicott, Klein, Bion, Abrahm., ecc), si fa riferimento al bisogno di questi di socializzare. Per il giovane, alla ricerca della propria identità e di nuovi riferimenti, oltre a quelli genitoriali, il gruppo dei pari, e la frequentazione di coetanei in altri contesti oltre a quello familiare, acquista un’importanza assoluta se non prioritaria (Crocetti, et al, 2018). Condivisione e aggregazione costituiscono proprio degli aspetti fondamentali della crescita di ciascun essere umano (Crocetti, 2022). Non a caso anche la Costituzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (art. 31) riporta che “(…) Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.”.

Inoltre sintetizzando quanto riportato dall’Osservatorio Povertà Educativa nel 2022, i Centri di Aggregazione Giovanile, spesso considerati alla stregua di luoghi per giovani in difficoltà, riservati esclusivamente alla cura delle marginalità e delle devianze presenti nelle periferie urbane, oggi devono essere visti nella loro funzione più ampia in linea con le più recenti concettualizzazioni. Quindi come una struttura portante nella costruzione di una comunità educativa sul territorio. Infrastruttura sociale e materiale che consente ad esempio di organizzare una serie di attività extra-scolastiche: dalle lezioni di recupero alle attività sportive, dai laboratori creativi ai corsi per lo sviluppo di competenze: momenti di incontro aperti a tutti, a prescindere dalla condizione familiare del minore.

Dunque – in quest’epoca dove il digitale e il virtuale si stanno imponendo rischiando di far perdere l’interesse ad uscire fuori da casa (Ibidem, 2018) – è invece importante ricordare che soprattutto gli adolescenti da sempre, hanno un desiderio irrefrenabile di uscire dalle mura domestiche per espandersi nel mondo dei coetanei (Parrilli, 2019) e di frequentare luoghi dove viversi, sognare, relazionarsi, scambiare esperienze e decisioni di vita. (Ambrosi & Fontana, 1996).

Quindi, in conclusione il mio pensiero/suggerimento va ai giovani. La mia speranza è che possano seguire e fare ciò che proprio Steve Jobs (inventore delle più moderne tecnologie) si augurava «Il tempo è limitato, non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, ossia vivere seguendo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il frastuono delle opinioni altrui soffochi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. Essi sanno già che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario […] “Stay Hungry. Stay Foolish” (Siate affamati, siate folli)».

Buon divertimento a tutti!!

Cristina Rigacci

(Psicologo e Psicoterapeuta, è studiosa di dinamiche psicologiche sottese ad una genitorialità difficile o resa tale per la presenza di un figlio che soffre a causa di una malattia o disturbo, ha lavorato per anni con le associazioni senesi “Sesto Senso” e “Asedo” per facilitare l’integrazione di alunni con disabilità e favorire esperienze di autonomia (housing) per un piccolo gruppo di ragazzi Down. E’ tra i soci fondatori di Codini & Occhiali).

per saperne di più

Campi solari: contributi del comune

 

Spiegare i sarcomi ad un bambino: dialogo con il Dottor Baldi di “Italian Sarcoma Group”

Dopo l’emozionante intervista a Dario Vese  ( Nel momento più difficile della malattia, Dario dedica la sua vita agli altri – SIENASOCIALE ) abbiamo deciso di saperne un po’ di più della sua malattia. Lo facciamo con il giovane Dottor Giacomo Giulio Baldi, pistoiese doc basato a Prato, 43 anni e 11 di professione alle spalle. Dal 2009 studia i sarcomi ed è coordinatore del gruppo di lavoro che si occupa di studi clinici in Italian Sarcoma Group.

 

Dottore quando inizia a studiare questo tipo di tumore che ho compreso coinvolge tutto il suo interesse? 

 

Può sembrare strano ma si sta parlando di tumori“. Giacomo, con un accento toscano carico di grande energia, ci racconta il fascino, ma anche le sfide, di questa forma di neoplasia molto rara e pertanto particolarmente stimolante dal punto di vista scientifico.

 

Come spiegheresti il sarcoma ad un bambino?

 

“E’ una malattia che di solito nasce in tutte quelle parti del corpo che sono di sostegno, nei tessuti molli o nell’osso. Può essere più o meno aggressiva. Può richiedere sia l’intervento chirurgico che cure complementari”

 

Chi colpisce?

 

“A seconda del tipo di sarcoma può colpire una fascia di età più avanzata, o al contrario, giovani adulti come Dario o anche in età pediatrica”.  

 

Cosa rende il sarcoma “particolare” da un punto di vista scientifico?

 

“L’eterogeneità della malattia, sono quasi 100 malattie diverse sotto lo stesso nome! Un’autentica sfida per un clinico poiché la rarità rende le malattie orfane di farmaci e percorsi dedicati. Nelle tue decisioni devi metterci del tuo perché spesso non esistono linee guida e devi stare al passo con quello che succede nel mondo. Noi studiosi del sarcoma siamo pochi e questo ci spinge a lavorare in rete, siamo una vera e propria comunità”. 

 

Puoi conoscere e sostenere questa comunità su www.italiansarcomagroup.org

 

Italian Sarcoma Group è una associazione senza fini di lucro iscritta nell’elenco delle Società Scientifiche e Associazioni Tecnico Scientifiche riconosciute dal Ministero della Salute. ISG è stata costituita nel giugno 1997 come gruppo collaborativo italiano finalizzato a migliorare la ricerca e la cura dei pazienti di ogni età affetti da sarcomi dei tessuti molli, tumori stromali gastrointestinali (GIST) e sarcomi dell’osso.

 

Stefano Saponaro

Nel momento più difficile della malattia, Dario dedica la sua vita agli altri – SIENASOCIALE 

“Giustizia, pena e detenzione” incontro al Sarrocchi

Martedì 2 maggio, all’Istituto Sarrocchi di Siena, si è tenuto l’incontro conclusivo del progetto “Giustizia, pena e detenzione” volto ad aiutare i ragazzi a capire la funzione riabilitativa della pena e della detenzione. Hanno portato la propria testimonianza persone che operano come professionisti o volontari all’interno della casa circondariale di Siena.

Il progetto, nato nel 2018, aveva subito uno stop a causa della pandemia da Covid, ma ora, finalmente, è stato portato a compimento, nella sua completezza, anche grazie al supporto offerto dalla dirigente dell’Istituto, Floriana Buonocore.

Ci rendevamo conto – spiega la referente per il progetto, professoressa Beatrice Semplici – che i nostri ragazzi studiavano l’Illuminismo, Beccaria e leggevano anche qualche brano di “Dei delitti e delle pene”; pur essendo preparati sull’argomento, dal punto di vista storico-letterario, quando poi, in classe, si trattava l’argomento della detenzione, le idee si facevano più confuse e i pregiudizi dilagavano. Insieme con le colleghe abbiamo cercato una strada per portarli ad affrontare questo tema in modo serio e consapevole, facendo loro comprendere meglio la funzione della detenzione. La pandemia da Covid ci ha ostacolate, ma l’obiettivo lo avevamo chiaro: in epoca di didattica a distanza ci siamo limitati alla presentazione del problema e alla lettura di opere e testimonianze che, in qualche modo, intaccassero almeno alcune di quelle certezze fondate su pregiudizi e fake news. Oggi, invece, abbiamo finalmente potuto riunire nella nostra aula magna gli studenti di quattro quarte dell’istituto che si confronteranno con operatori del mondo penitenziario: dal nuovo direttore della casa circondariale della nostra città, ad un agente della polizia penitenziaria, alla funzionaria giuridico-pedagogica, ad una docente che da anni insegna ai detenuti, al regista che attua il progetto del teatro in carcere, fino ad una collega che spiegherà ai ragazzi il senso del recupero del detenuto, alla luce della Costituzione.”

L’incontro è stato aperto dalla dirigente, Professoressa Floriana Buonocuore, che dopo un saluto ai presenti ha tenuto a precisare l’importanza di eventi di questo tipo.
Voi avete una grande fortuna a vivere in Toscana – ha esordito la dirigente – un luogo in cui da secoli ormai si è dimostrata la sensibilità riguardo all’importanza della pena giusta. Ai tempi in cui io ero studentessa, il 30 novembre non si andava a scuola, in tutta la nostra regione, poiché si celebrava  l’anniversario della riforma penale, promulgata nel 1786 dal Granduca Pietro Leopoldo, con cui si aboliva la pena di morte. Ora a scuola si viene, nonostante la ricorrenza, ma resta comunque importante ricordare quella svolta e un incontro come quello di oggi è fondamentale per comprendere l’importanza della pena, ma anche e soprattutto la sua funzione rieducativa. Aiutarvi a comprendere questi aspetti è di vitale importanza perché possiate rendervi conto di come funziona la nostra società.”

Il primo intervento è stato quello del regista Ugo Giulio Lurini che da qualche anno si occupa di attività teatrale in carcere, all’interno della casa circondariale senese, dopo essersi occupato già da tempo di teatro sociale.

Per i detenuti, le attività come il teatro o la scuola sono fondamentali – ha spiegato agli studenti – I vuoti, in termine di tempo, in carcere sono lunghissimi. Basta fare un confronto fra ciò che facciamo noi e ciò che possono invece fare loro: io, intorno alle cinque del pomeriggio, esco dalla casa circondariale e inizio a fare dell’altro. Soprattutto in questa stagione, con le giornate che si allungano, posso riempire il mio tempo con molte attività. I detenuti, invece, a quell’ora rientrano nelle loro celle e il tempo “si ferma”. Svolgere l’attività del teatro, scelta liberamente, è un modo per riempire dei tempi, ma anche per volare sulle ali di una libertà che a loro non è concessa. Qualcuno dei miei attori mi ha detto: “quando c’è teatro noi siamo fuori!” e ciò chiarisce bene quanto questa attività sia utile per loro. Tra l’altro, mettere in scena uno spettacolo per un pubblico di persone “libere” significa entrare in contatto con l’esterno. E anche questo ha un grande valore, per loro” .

Lurini ha poi mostrato alcuni spezzoni tratti dal documentario realizzato dai suoi attori e caricato sul loro blog “spirito in libertà”.
Queste attività sono formative per persone che spesso si sono affacciate alla vita in condizioni svantaggiate, rispetto alla normalità, come ha tenuto a precisare la professoressa Gambacorta che, a partire da un testo di Antonio Cassese, ben conosciuto dagli studenti, ha provato a spiegare come ci siano persone che, nascendo in certi contesti, sono portatori di ferite che possono essere curate solo attraverso attività di recupero sociale, come il teatro, appunto, la musica, la scuola.

Di recupero sociale ha parlato anche il dottor Marco Grasselli, nuovo direttore della casa circondariale senese, che ha risposto con grande disponibilità all’invito del Sarrocchi. “Sono molto contento dell’invito che mi è stato fatto dalla vostra scuola. Credo che sia molto importante che gli studenti possano conoscere realmente come si vive all’interno di un penitenziario. La devianza esiste da sempre e il carcere è la risposta della società a tale problema, ma, in un paese democratico come il nostro, la detenzione non può e non deve essere solo un momento “vuoto”. Questo momento è necessario, perché il detenuto ripensi ai propri errori e acquisisca la consapevolezza degli stessi. Ma devono esserci anche attività che riempiano positivamente i momenti vuoti. I detenuti sono destinati ad uscire, prima o poi. Il detenuto deve pagare la pena per cui è stato condannato, ma deve anche essere in grado di rientrare nella società, quando ha finito di scontare la sua pena, camminando possibilmente con le proprie gambe. Per questo sono importanti tutte le attività come l’istruzione, primaria e secondaria, il teatro, la musica, la pittura. A Siena, lo scorso anno, sono stati attivati, grazie alla collaborazione con l’Istituto Caselli, due corsi: uno per edili e l’altro per manutentori. Se è vero che la nostra mission è quella di custodire queste persone in carcere, è altrettanto vero che dobbiamo fare in modo che, scontata la pena, siano in grado di riprendere in mano la propria esistenza, fuori dal carcere. Uno dei problemi che affligge la nostra popolazione carceraria è la recidiva: circa il 70 % dei detenuti ritorna a delinquere, ma i dati dicono anche che quei detenuti che sono stati accompagnati in un processo di inserimento nell’ultimo periodo della detenzione sono a minor rischio recidive.”

Gli studenti si sono dimostrati molto attenti a questo intervento e hanno anche posto domande su questioni importanti come, per esempio, sulla possibilità dei detenuti di uscire facilmente dal carcere; il dottor Grasselli ha spiegato che esiste effettivamente  anche la possibilità di vedersi ridurre la pena, ma ha tenuto a sottolineare che dal carcere si è esce solo nei tempi indicati dai giudici. Il dirigente ha concluso il suo intervento sottolineando come il penitenziario è, sempre, un luogo di sofferenza ma  che a lui piace pensare che possa aiutare a far crescere le persone che vi sono provvisoriamente rinchiuse. La parola è poi passata all’agente di polizia penitenziaria Guerino Bertolini e alla professoressa Catlin Giolitti, che hanno illustrato le attività quotidiane dei detenuti.

Insegno ai detenuti da diversi anni. Per loro è importante la frequenza a scuola perché scoprono un’attività che, spesso, non hanno praticato in età adolescenziale e la scoprono proprio con noi; per loro può rappresentare una svolta perché è uno dei modi che ha l’istituzione ha per aiutarli nel reinserimento nel tessuto sociale. Qualche studente della casa circondariale non solo si è diplomato, ma oggi sta frequentando con discreto successo l’università. Non sono molti ma qualcuno riesce a trovare una strada diversa: questo è il nostro obiettivo. Come diceva prima il direttore, se è vero che le recidive sono molto frequenti, un dato confortante è sapere che, quando un detenuto ha intrapreso un percorso di recupero sociale, c’è una fondata speranza che non torni a delinquere.”

 

Il progetto “Giustizia, pena e detenzione”, per l’anno scolastico 2022-2023, si è concluso ma potrebbe avere un appendice con una visita al teatro della casa circondariale senese per la messa in scena di uno spettacolo realizzato dai detenuti sotto la regia di Ugo Giulio Lurini. Per ora, il successo per i docenti che hanno fatto intraprendere questo percorso alle loro classi, è che gli studenti abbiano maggior consapevolezza della realtà del carcere.

Marina Berti

nelle foto l’incontro degli studenti del Sarrocchi con chi opera, da professionista o come
volontario, all’interno della casa circondariale di Siena. Si distinguono,  il regista attore Ugo Giulio
Lurini e la funzionaria giuridico-pedagogica Maria iose Lucia Massafra con la professoressa Beatrice Semplici; le professoresse Francesca
Gambacorta e Catlin Giolitti; il direttore della casa circondariale Marco Grasselli con l’agente di polizia penitenziaria Guerino Bertolini.

“Diciamoci cose positive”: Nasienasi al Caselli di Siena

Un cappello bianco e rosso sui banchi di scuola dell’Istituto Caselli di Siena e la presenza di ben quattro nasi rossi, vuol dire solo una cosa: è arrivata l’Associazione Nasienasi in classe! 

Il progetto denominato “Nasi Rossi” fortemente voluto dal Prof. Giacomo Vigni per la classe IV DD dell’indirizzo Sociosanitario prevede una serie di appuntamenti con l’obiettivo di illustrare e spiegare agli alunni cosa vuol dire essere un volontario nei contesti della cura.  Anche oggi i ragazzi hanno accolto col sorriso ed entusiasmo i nostri ospiti che li hanno subito coinvolti in giochi, confronti e riflessioni.

Gli alunni si sono calati nel ruolo del clown dandosi dei nomi alternativi e mantenendoli per tutta la durata del laboratorio. Nomi così buffi che è stato complicato ma divertente ricordarli tutti!  Successivamente è stato fatto un esercizio di immedesimazione: a turno veniva posto il cappello di “Iononsò” sulla testa di un alunno che diventava una sorta di leader a cui tutti dovevano prestare attenzione, imitandolo. Un esercizio che ha generato sensazioni diverse, dal senso di disagio al senso di potere.

Ci sono stati poi momenti di confronto rilevanti in cui i volontari spiegavano l’importanza dell’ascolto del paziente così come la capacità di accettare un rifiuto quando quest’ultimo non è emotivamente predisposto al sorriso e non accetta la loro vicinanza “ricordiamoci che le persone ricoverate, così come le persone in carcere sono le uniche a dover sottostare contro la loro volontà a ritmi ed orari che non gli appartengono; sono costretti a vivere in luoghi che non hanno scelto e per un tempo che non decideranno loro; i malati poi, altre allo stato emotivo precario e fragile devono fare i conti con cure, medicine e terapie spesso invalidanti” spiegava Iononsò ai ragazzi.

L’ultimo esercizio, a cui hanno partecipato anche alcuni prof, ha visto i ragazzi sedersi uno di fronte l’altro e comunicarsi vicendevolmente un elenco di cose positive che fino ad allora avevano vissuto. Per alcuni è stato piuttosto semplice, per altri meno. È emersa comunque la difficoltà ad esternare fatti positivi perché manca l’abitudine a farlo. La società, l’ambiente in cui si cresce, i mezzi di comunicazione tendono a voler mettere in evidenza e a dare maggior risalto agli accadimenti negativi che generano inevitabilmente critiche e disappunti.

Pensiamoci…

Da oggi quindi, compito a casa per tutti i nostri lettori: elencare quotidianamente almeno un po’ di cose positive che abbiamo vissuto, fatto, visto e portato a termine. Ma soprattutto condividerle con chi amiamo abituando il nostro orecchio ad ascoltare parole positive!

Grazie a Camomilla, Giugipet, Chisonono e Iononsò per aver trascorso parte del pomeriggio con gli studenti del Caselli e… alla prossima lezione, rigorosamente col naso rosso!

Stefania Ingino

Benvenuti al Sarrocchi di Siena: gli studenti si prestano il tempo

Grazie ad un’intuizione della professoressa Vanni, è nata la “banca del tempo”. Il tutto presso l’Istituto Tecnico e Tecnologico e Liceo Scientifico delle Scienze Applicate “Sarrocchi”. L’obiettivo è sostenere studenti che hanno fragilità. Ecco 2 testimonianze 

In una società in cui le persone sono sempre più oberate da impegni, importanti o meno, in Italia sono comparse, per la prima volta negli anni 90 del ‘900, le Banche del tempo. Da allora, queste “libere associazioni tra persone che si scambiano tempo per aiutarsi nelle piccole necessità quotidiane” si sono diffuse in tutta Italia.

Possiamo definirle dei luoghi in cui si recuperano le abitudini di mutuo aiuto, tipiche dei rapporti di buon vicinato, e si sono dimostrate estremamente utili, soprattutto quando esistono condizioni problematiche nella conduzione della propria esistenza.

A Siena, c’è una scuola, l’Istituto Sarrocchi, in cui è stata istituita una “banca del tempo”. Ci racconta la genesi di questa istituzione la professoressa Michela Vanni, che di questa iniziativa è stata la prima promotrice.

Michela Vanni

Michela Vanni

 

Era l’anno scolastico 2016-2017 quando vidi un servizio delle Iene in cui si narrava dell’esperienza del padre di un ragazzo autistico che, per aiutare il figlio, aveva dato vita ad un progetto che prevedeva il “prestito del proprio tempo” al suo ragazzo, da parte di compagni “normodotati”. Da qui nacque in me l’idea di dar vita ad una “banca virtuale” dove i ragazzi normodotati investono il loro tempo a vantaggio di compagni di scuola che manifestano difficoltà relazionali. Questo investimento produce effetti positivi che arricchiscono tutti i partecipanti, facendo crescere la rete di conoscenze e di amicizie e alimentando l’autostima perché, aiutando gli altri, si accresce anche la consapevolezza dei propri pregi.”

Nella pratica, come funziona la “banca del tempo” del Sarrocchi?

“Il progetto è seguito da me e dalla Professoressa Scidà, ma condiviso con gli altri insegnanti che, nel caso lo ritengano utile, ci segnalano i ragazzi che potrebbero avere dei vantaggi se “omaggiati” del tempo dei propri compagni. Noi, a gennaio, presentiamo il progetto agli studenti delle terze e quarte liceo, che hanno un minor carico di ore a scuola e minori impegni. I ragazzi ci danno la loro disponibilità e a quel punto si formano i gruppi formati da donatori e un massimo di due riceventi. I partecipanti creano un gruppo WhatsApp e a quel punto si organizzano per uscire, al di fuori dell’orario scolastico: per andare a fare una giratina, al cinema o a mangiare una pizza insieme. I donatori del tempo restano in contatto con i prof. Tutor, per consigli e suggerimenti.”

Chi sono i ragazzi che usufruiscono del tempo offerto dalla “banca” del Sarrocchi?

Tutti, non solo i ragazzi con il sostegno, ma anche i normodotati timidi, isolati, o che semplicemente sentono il bisogno di ampliare il ventaglio delle proprie conoscenze. Soprattutto dopo il Covid e l’isolamento a cui siamo stati obbligati, il numero dei ragazzi partecipanti alla nostra “banca del tempo” è cresciuto; i donatori sono passati da una ventina, nel periodo precovid ad una cinquantina, quest’anno. Alcuni dei donatori, una volta conseguito il diploma, abbandonano il progetto, ma alcuni continuano a prestare il proprio tempo.”

Uno studente, diplomatosi diversi anni fa, che è rimasto in contatto con i suoi donatori è Luca (nome fittizio). Pensando a lui, che presentava una patologia dello spettro autistico, con difficoltà di relazione con adulti e coetanei nacque il progetto“, confessa la professoressa Vanni.

Luca, tu sei stato il primo che ha fatto amicizia grazie alla “banca del tempo” del Sarrocchi?

Sì. E’ vero, per due anni, in quarta e in quinta superiore, ho preso parte alla “banca del tempo”. Me lo aveva proposto la Professoressa Vanni alla quale chiedevo in continuazione consigli per come dovevo fare per fare amicizia senza stressare i compagni.”

In pratica, com’è andata?

“Chiedevo sempre aiuto alla Professoressa Vanni così lei un giorno mi ha spiegato che cos’era la “banca del tempo” e perché poteva essermi utile. Mi ha chiesto se volevo partecipare e io, prima non ero molto favorevole, poi mi hanno convinto così mi hanno messo nel gruppo di WhatsApp e ho partecipato a tutti gli incontri che mi proponevano, comprese le cene di fine d’anno, sia in quarta che in quinta. Nei gruppi, che erano diversi da quarta a quinta, non c’erano miei compagni, ma comunque io sono stato contento lo stesso.”

Ti è servito stare in contatto con loro?

Sì e anche molto perché sono migliorato nel mio comportamento. A parte qualche volta, ora non stresso molto le persone con cui voglio fare conoscenza. E poi, dopo il diploma, con alcuni di questi amici sono rimasto in contatto, anche se non ci vediamo spesso. Però, per esempio, alcuni di loro sono venuti a casa mia, al mio compleanno, per festeggiarmi. Quindi non ero solo. Prima, non pensavo di poter avere qualche amico e invece ora ce l’ho.”

E’ importante che ragazzi come Luca possano interagire e fare amicizia, anche al di fuori dell’orario scolastico. L’impegno della professoressa Vanni è tanto, ma i successi dei suoi ragazzi, donatori e riceventi, è tale da ripagarla dello sforzo che ogni iniziativa richiede per stare bene dentro e fuori dalla scuola.

Marina Berti

Per saperne di più

https://www.sarrocchi.edu.it/

 

 

 

A “scuola” di disostruzione pediatrica: l’invito delle insegnanti

L’iniziativa, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza, è in programma per mercoledì 5 aprile alle ore 21.00 presso la Scuola Comunale dell’Infanzia “Arcobaleno” di Ponte a Tressa

Nell’ottica di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, informazione della comunità e diffusione della cultura del soccorso, l’Associazione di Pubblica Assistenza Val d’Arbia promuove e organizza un incontro con finalità di divulgazione delle manovre salvavita idonee per intervenire su soggetti in età pediatrica in caso di ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo.

La lezione sarà tenuta da istruttori qualificati ANPAS, è stata fortemente voluta dalle insegnanti della Scuola Comunale dell’Infanzia “Arcobaleno” di Ponte a Tressa e prevede una spiegazione frontale e teorica illustrativa delle modalità e dei contesti di azione e la prova pratica attraverso le isole di lavoro con simulazione degli interventi su manichino. 

“A noi insegnanti – spiegano le docenti – ogni giorno viene affidato il bene più prezioso che hanno i genitori, le loro bambine e i loro bambini. Noi affrontiamo questa responsabilità non senza paura ma con la consapevolezza che a volte, in pochi secondi, sapere cosa fare ti permette di fare la cosa giusta. Ed è per questo che è importante divulgare e sensibilizzare alla conoscenza delle manovre di primo soccorso pediatrico tra chi si occupa di bambini di qualunque età, perché ognuno di noi, in pochi secondi, può fare la differenza.”

Per informazioni è possibile contattare Enrico (348 8076716) e Cristina (349 2208568).