Diritti del disabile come strumento per il recupero della dignità. Ne parliamo proprio oggi nella “Giornata internazionale delle persone con disabilità 2023”

Parlare di diritti dei disabili mi fa quasi strano! Le persone con disabilità sono appunto persone seppur con delle problematicità quindi credo che la prima cosa da mettere in risalto sia proprio questa loro “unicità nella duplicità delle condizioni che vivono”: vanno rispettate e tutelate sia per quanto e per quello che sono (a prescindere dalla loro disabilità) sia ovviamente per le loro esigenze che, inevitabilmente, rendono la loro situazione (e il vivere quotidiano) più delicata e peculiare.

Fortunatamente e, forse, non a caso nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità [(indicata come CRPD dall’acronimo inglese) approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2006 e ratificata dalla legge italiana nel 2009,  è stato inserito come principio base il fatto che “Le persone con disabilità hanno diritto al rispetto della loro dignità e autonomia; a una piena partecipazione e inclusione nella società; a non essere discriminate o limitate nelle loro possibilità; a essere istruite e informate; a svolgere attività ricreative e sportive e ad avere gli ausili necessari affinché la disabilità non si traduca in un mancato o insufficiente godimento di tutti i diritti umani.”(Longo, 2023).

Proprio il termine dignità mi colpisce in particolare modo perché richiama uno degli elementi costitutivi del narcisismo primario (fondamento della nostra identità) (Crocetti & Stegher, 2919).

Dignità, che a mio parere va restituita e garantita a priori e prioritariamente. Se una malattia (o disabilità) può avere un senso questo è da ricercare anche nell’espressione della sofferenza in tutti i suoi modi attraverso un’accoglienza e un riconoscimento di tutti gli stati e di tutte quelle esperienze relazionali che permettono il soddisfacimento di tutti i propri bisogni (Spadoni, 2012).

Infatti, per quanto sia innegabile che la malattia trasformi l’organismo e, di conseguenza, anche l’identità rompendo un equilibrio con ripercussioni e modifiche sulla vita psichica e fisica oltre che sulle relazioni (Lingiardi, 2018, p.40); sarebbe errato – nonché deontologicamente ed eticamente scorretto – ridurre il soggetto portatore disabilità alla sua specifica condizione fisiopatologica (Cerbolini, 2014).

Quindi che si parli di diritto all’istruzione e all’educazione (inclusione scolastica), di diritto al lavoro, del riconoscimento dell’invalidità (tutti riconosciuti e sanciti nella legge italiana) quello che conta è dare la possibilità ad ogni persona più o meno disabile, di sviluppare una soggettività viva e recettiva, la cui valorizzazione è necessaria in quanto, a prescindere, ogni persona è diversa e ha alle spalle uno sviluppo proprio e peculiare (Baldino & Garnieri;1995; Villa,2009).

Detto altrimenti, la legge, con tutte le sue peculiarità si fa garante del fatto che per il disabile sia possibile raggiungere una buona qualità della vita (Coscarelli & Balboni, 2014). Concetto quest’ultimo a cui si è prestata sempre maggiore attenzione a partire de-istituzionalizzazione delle persone con disabilità (Verdugo et al., 2005) e che è il risultato di una buona corrispondenza tra i desideri e i bisogni di una persona, e il loro soddisfacimento. (Schalock, 2000).

Per concludere, cosa aggiungere? In una suggestiva metafora, Crocetti (2022) ha detto che la malattia (come la morte) è un po’ come se fosse un viaggio nella notte, e si sa durante la notte forse si viaggia con più difficoltà: questo è innegabile ma la cosa da non dimenticare è che dopo la notte arriva sempre l’alba.

Ecco io credo fortemente che ogni persona disabile ha o può arrivare a vedere la sua alba. Compito delle istituzioni delle leggi e di tutti i singoli dovrebbe proprio essere quello di permettere che, per queste persone, la notte sia più corta possibile e quelle albe facili da vedere e veloci ad arrivare!

Cristina Rigacci

Psicologo e Psicoterapeuta, è disabile da quando aveva sei anni. Studiosa di dinamiche psicologiche sottese ad una genitorialità difficile o resa tale per la presenza di un figlio che soffre a causa di una malattia o disturbo, ha lavorato per anni con le associazioni senesi “Sesto Senso” e “Asedo” per facilitare l’integrazione di alunni con disabilità e favorire esperienze di autonomia (housing) per un piccolo gruppo di ragazzi Down. E’ tra i soci fondatori di Codini & Occhiali. 

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