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Il cioccolato è la risposta? Parliamone insieme

Mentre cala il sipario su CiocoSI, la Festa del Cioccolato che ha accattivato la Città con la dolcezza delle delizie artigianali e delle golose tentazioni ad opera dei Maestri cioccolatieri, ci avviciniamo alla Pasqua che potremmo definire indubbiamente la festa più dolce dell’anno. Insieme alla dottoressa Cristina Rigacci, psicologa e psicoterapeuta, proviamo a rispondere insieme ad una curiosa domanda: il cioccolato è la risposta? Buona lettura!

Il cioccolato. Amato e odiato, fonte di piacere quanto possibile origine di dipendenza: è sicuramente un alimento che fa discutere!!

Il cioccolato o cioccolata, è derivato dai semi del cacao, per le antiche civiltà dell’America centrale era il cibo degli dei. La bevanda amara ed energetica che veniva ricavata dai semi del cacao era afrodisiaca, eccitava e alleviava la sensazione di fatica. Non a caso molti personaggi famosi nel corso della storia hanno avuto una forte passione per il cioccolato: Casanova, per esempio, ne faceva abbondantemente uso proprio per gli effetti afrodisiaci (Piccini, 2014).

Quello che è abbastanza certo è che le sue componenti stimolano la serotonina con un effetto positivo sull’umore e il benessere (Heller, 2009; Veldhuizen, et al.,2010; Lorenzini & Scarinci, 2013).

Tuttavia considerando l’origine dei molti studi che esaltano gli effetti benefici del cioccolato, è bene fare molta attenzione, avere cautela e richiamare il buon senso in riferimento al consumo di questo alimento. Per esempio, l’Associazione Britannica della Dieta e della Nutizione sconsiglia il consumo di cacao in quanto il pericolo della dipendenza da cioccolato è sempre in agguato e questa non solo porta all’obesità ma anche alla perdita di controllo sui propri impulsi e addirittura alla perdita di autostima. Consumare cioccolato deve essere un piacere, non un modo per tentare di controllare l’ansia o la depressione e ancor meno una scusa per ancorare la nostra vita ad una dipendenza senza senso (Suarez, 2021). Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto è stato notato che in alcuni casi il desiderio di assunzione cresce al punto in cui il desiderio diventa una vera e proprio necessità che può spingere verso la ricerca spasmodica di una gratificazione immediata. In termini tecnici si chiama “effetto craving” che è un desiderio impulsivo/compulsivo verso un oggetto o un comportamento gratificante. Esattamente al pari di altro genere di dipendenze come ad esempio il gioco d’azzardo. Cambia l’oggetto della gratificazione ma non il comportamento impulsivo che spinge l’individuo a cercarlo (Caglia, 2021). Del resto ormai da tempo sappiamo che l’iperfagia – ovvero la ricerca compulsiva e spasmodica di un qualunque cibo spesso causa di obesità e alla base di condotte alimentari non propriamente consone (es: abbuffate) – è legata al desiderio di trovare un appagamento orale ad uno stato di tensione interna (spesso accompagnata da noia o ansia) che l’individuo non riesce a gestire in altro modo (Crocetti & Stegher, 2019).

Ippocrate sosteneva “è la quantità che fa il veleno”. Il male non è nella sostanza ma nell’appetizione dei piaceri che contraddistingue il nostro tempo. E rimanendo in tema – sempre con il richiamo ai grandi della letteratura – non potevo che ricordare quanto scritto da Pirandello: “Un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell’oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d’immagini care. Nell’oggetto insomma amiamo quel che vi mettiamo di noi.

Cristina Rigacci

chimico farmaceutico

Chimico Farmaceutico Militare e farmaci orfani: a “Taste 16”

Nella vetrina della Fortezza da Basso, uno stand con i prodotti alimentari icona del mondo militare per i 3 giorni dedicati alle eccellenze eno-gastronomiche d’Italia. Protagonista lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare che, prosegue tutt’oggi la produzione di quei farmaci “orfani” sui quali l’industria privata non investe per scarsi margini di profitto e necessari per molti malati di patologie rare

Anche quest’anno l’Esercito è presente, presso Firenze, a TASTE organizzato da Pitti Immagine presso la Fortezza da Basso con uno stand della società licenziataria Fonderia del Cacao. Nei 3 giorni dedicati alle eccellenze enogastronomiche d’Italia, il brand “Esercito 1659” farà rivivere alcune tradizioni alimentari che hanno segnato la storia del mondo militare rendendoli disponibili in commercio.

Parliamo del Cioccolato Militare dell’Esercito, un fondente al 70% avvolto nel suo storico packaging, ora come allora parte integrante della “Razione K” utilizzata dai militari in attività operative, con l’obiettivo di contribuire a rafforzare e sottolineare l’eccellenza italiana nel settore.  Tra questi militari anche quelli del186º Reggimento paracadutisti “Folgore”, con sede a Siena presso la Caserma “Roberto Bandini”. Immancabili anche al TASTE 16 i prodotti simbolo dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, unità produttiva dell’Agenzia Industrie Difesa, quali il “Cordiale” o “l’Elisir di China” memorie storiche e nicchie dell’eccellenza alimentare che hanno accompagnato generazioni di soldati italiani.

Il Cioccolato Militare fa parte della razione giornaliera fin dal 1937 in quanto gustoso, energico e facilmente trasportabile. Inoltre, è forte la volontà di tutelare l’ambiente con il riutilizzo di materiali: le vecchie cassette di primo soccorso dell’Esercito hanno ripreso vita diventando un originale packaging per generi di “pronto conforto”, contenenti una degustazione di cioccolato. Attese per il futuro ulteriori novità nel packaging con il riutilizzo di altri materiali fortemente identitari non più in uso alle Forze Armate.

In sintesi, una consolidata sinergia che vede l’Istituzione e la società Fonderia del Cacao impegnati nella promozione e diffusione della cultura del benessere alimentare mediante l’utilizzo di componenti naturali purissimi che si aggiunge alla lodevole opera dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare che, prosegue tutt’oggi la produzione di quei farmaci “orfani” sui quali l’industria privata non investe per scarsi margini di profitto e necessari per molti malati di patologie rare