“Il giorno successivo ai festeggiamenti per la Festa del papà il mio pensiero non poteva non andare ai padri con figli o figlie disabili“. L’analisi della dottoressa Cristina Rigacci Psicologo e Psicoterapeuta e disabile da quando aveva sei anni
Premessa doverosa è che a prescindere dall’essere un padre o una madre, quando si presenta per il figlio una condizione di malattia o disabilità la sofferenza, soprattutto nei primi momenti è innegabile: non ha sesso, colore o altre peculiarità. Infatti, è possibile affermare che, in generale, le famiglie che accolgono un figlio disabile, presentano condizioni di gravi difficoltà, bisogni impellenti e speciali (“extra care need”).
Una gamma estesa di problematiche condiziona pesantemente la vita quotidiana (“unusual careging demands” o “demanding role”) rendendo difficoltoso l’adempimento di quei compiti che ogni famiglia deve portare a termine (Sidoli, 2001; Robert & Lawton, 2001).
Tuttavia a partire dalla fine degli anni 90, il focus degli studiosi della disabilità si è spostato anche sulle risorse, ruoli e competenze specifiche che questi genitori “speciali” hanno o possono avere (Croce, 2001).
Anche per me, che da anni studio la genitorialità nell’handicap in tutte le sue sfaccettature, non è facile selezionare le informazioni più pertinenti.
Ho deciso di provarci consapevole che ogni singola realtà è diversa e peculiare e che quello che posso offrire sono solo riflessioni generali che spero servano soprattutto a quei padri che, spesso, si sentono o si sono sentiti meno coinvolti – per non dire meno importanti – nel rapporto con il proprio figlio disabile.
Se nel passato era la madre e la sua sofferenza ad essere maggiormente considerata oggi non è così perché così non lo è davvero: anche il padre fa i conti con le angosce che la malattia del figlio può attivare (Mannonni, 1971; Villa, 2019). Tuttavia, è dimostrata l’esistenza di differenze sostanziali tra madre e padre nella reazione alla nascita di un figlio con disabilità (Pelchat, et al., 2003; Giannetti, et al, 2006).
In particolare modo i padri sembrano avere maggiori problemi di attaccamento nei confronti del figlio disabile (Keller, 1999) o, comunque, adottare diversi modi di usufruire del supporto sociale fornito (Scharlach, et al., 2003): se le madri risultano maggiormente coinvolte nelle funzioni di supporto, di gioco e di gestione delle cure, i padri sembrano invece più preoccupati degli aspetti connessi al sostentamento della famiglia e al garantire al figlio disabile un’adeguata assistenza per il futuro (Maino, 2004; Giannetti, et al., 2007).
Detto tutto ciò, ci tengo a concludere questo breve scritto richiamando un’idea, un concetto, quello di coppiamadre (Crocetti & Pallaoro, 2007) che, a mio modestissimo parere risalta bene l’importanza del padre alla nascita di un figlio e che, più che mai, sarebbe utile tenere a mente se il figlio presenta qualche difficoltà. «Un bambino appena nato è tenuto tra le braccia della madre, ma la forza di quelle braccia è quella che circola nella relazione di coppia, nella quale il padre, in quel momento particolare dell’esperienza relazionale, ha proprio il compito di sostenere la compagna, di aiutarla ad emergere dalla regressione e dalla depressione…. Ha dunque la funzione di sostenere l’attività organizzativa della Mente di coppia» (Crocetti, 2012)
Psicologo e Psicoterapeuta, è disabile da quando aveva sei anni. Studiosa di dinamiche psicologiche sottese ad una genitorialità difficile o resa tale per la presenza di un figlio che soffre a causa di una malattia o disturbo, ha lavorato per anni con le associazioni senesi “Sesto Senso” e “Asedo” per facilitare l’integrazione di alunni con disabilità e favorire esperienze di autonomia (housing) per un piccolo gruppo di ragazzi Down. E’ tra i soci fondatori di Codini & Occhiali.