Piero Fabbrini, classe 1988, professore di lettere alle scuole superiori, quest’anno al Sarrocchi di Siena, padre di un bambino di cinque anni, Capitano della squadra di calcio del Mazzola che milita nel campionato di eccellenza, allenatore nella Società Trieste, associazione sportiva della Contrada dell’Oca, all’interno della quale è anche attivo come addetto ai giovani, e ora anche scrittore di romanzi. Conosciamo questo senese impegnato su “tanti fronti” che un fronte lo racconta.

Lo incontro all’indomani della presentazione del suo secondo romanzo, “Un altro paradiso”, edito dalla casa editrice Albatros, e per prima cosa gli chiedo quale, di tutte le attività che pratica, lo rappresenta di più.

Ad essere sincero, tutte queste attività mi rappresentano bene, ma quella che pratico da maggior tempo è il calcio. Avevo solo cinque anni, quando ho iniziato a dare i primi calci al pallone e ancora non ho smesso. Diciamo che è una passione storica. Però anche la Contrada dell’Oca è parte integrante della mia esistenza. Sono nato in via della Galluzza, in Fontebranda, e posso dire che quella strada e la Società sono stati e sono il prolungamento di casa. Nell’Oca sono nato e lì sono cresciuto.

E ora possiamo dire che Piero adulto restituisce ciò che ha ricevuto?

Sì, ora da addetto ai giovani, con altri, mi occupo di loro, della loro crescita, sia degli “Anatroccoli” sia degli adolescenti. Sono una cinquantina di giovani che mi danno tanto, così come mi danno tanto anche i ragazzi che praticano sport all’interno della nostra associazione, la Trieste. Sono tutte attività che riempiono la mia vita e mi fanno sentire vivo.”

Crescendo ti sei dedicato agli studi umanistici.

“Sì, mi sono iscritto a lettere, ma ho sempre avuto un particolare interesse per la storia. Al termine della specialistica ho discusso una tesi sul colonialismo e sul costo, anche economico, di quel fenomeno. Quegli studi, poi, ritornano proprio nel mio secondo romanzo, “Un altro paradiso”.

Appunto, Piero ad un certo punto si avvicina anche alla scrittura.

In effetti, ho iniziato a scrivere quasi per caso: sentivo l’urgenza di mettere per iscritto le storie che mi avevano raccontato in famiglia. Mia nonna e mio padre erano la memoria di eventi di un’epoca che rischiava di essere dimenticata e per questo ho iniziato ad appuntarmi quelle narrazioni che sono poi confluite in un lavoro organico, in un romanzo che è stato pubblicato con il titolo “Un’altra gioventù”, in cui scrivo la storia di personaggi reali, vissuti nel Valdarno, nel periodo compreso tra la disfatta di Caporetto e la morte di Mussolini.”

In questo romanzo gli eventi storici sono colti e mostrati nella loro ricaduta sulla  vita della piccola comunità da cui proveniva la famiglia di tuo  padre, Montevarchi.

“Sì,  e i grandi eventi storici ritornano anche nel secondo romanzo, “Un altro paradiso”, edito da Albatros. In questo caso si tratta della storia di un uomo, di Castelnuovo Berardenga, colpito nei suoi affetti più cari che sceglie di andare a combattere nella prima guerra d’Africa, conclusasi con Adua.”

Quello che colpisce in questo romanzo è la poeticità delle relazioni. Ci sono due personaggi che rappresentano la comunità etiope e vengono tratteggiati con un rispetto e una delicatezza che accende un faro su quelle civiltà che non avevano nulla di meno di quelle europee.

“E’ vero,  ho voluto mostrare  il volto dell’Africa di cui non si parla mai. Anche perché di questa guerra, che pure ebbe delle conseguenze importanti, si legge poco, anche nei manuali di storia. E’ una pagina della nostra storia poco conosciuta, mentre per me dovrebbe essere spiegata, e molto bene, ai giovani.”

Sport, Contrada, insegnamento, scrittura: come concili tutte queste attività?

“Con la passione che mi motiva a fare tutto. Per ora riesco, per esempio dedicandomi allo sport nel periodo invernale e alla scrittura d’estate. Mentre la Contrada travalica le stagioni. Finora non sento il peso delle molteplici attività e, francamente, spero proprio di non sentirlo per molto ancora, perché mi sembra di avere ancora molto da fare.”

Marina Berti

nella foto Piero Fabbrini

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