Lo dico sempre e non mi stanco mai: a Siena esiste una vera e propria “liturgia” dell’anno gastronomico, scandito sotto forma di dolci che sotto Natale si trasforma ricciarelli, panpepato e panforte, per primi, ma anche cavallucci e copate anche se queste ultime sono andati un po’ scomparendo eppure, proprio alle copate, è legata una storia bellissima.

Si dice che le monache di Montecellesi, avendo ricevuto in dono i “sospiri” (un dolce fatto con l’albume d’uovo e lo zucchero: così si chiamavano anche a casa mia) dalle consorelle del convento di Santa Brigida, vicino a Pistoia, abbiano unito anche loro all’albume miele, mandole e noci e poi, abbiano messo il composto tra due ostie per farlo caramellare e renderlo croccante. Un’altra tradizione (c’è sempre una tradizione diversa) racconta che questa leccornia (che in origine si chiamava anche nebula) venisse dall’Oriente, insieme allo zucchero bianco considerato prezioso e che il suo nome provenga dall’arabo “qubbaita”, cioè dolce mandorlato. Per cui, i mercanti, oltre alle materie prime, portavano nella nostra città anche i prodotti elaborati da altre tradizioni culturali che venivano, così, ad innestarsi, nella nostra.

E i cavallucci o biricuocoli compaiono già negli affreschi del Pellegrinaio del Santa Maria della Scala, immortalati da Taddeo di Bartolo nel Quattrocento, che li impila su un ricco cesto di leccornie da offrire ai gittatelli, ovvero ai bambini che, abbandonati dalle famiglie venivano cresciuti all’interno dell’ospedale (o forse sono ricciarelli?). Ma sulla nostra tavola, insieme ai nostri dolci, volendo quante storie possiamo portare in queste feste: raccontano storie di spezie venute la Paesi lontani, di polveri e nettari che li rendono preziosi, nascono non nei forni ma nelle spezierie dei monasteri.

E, come per le copate, anche per i ricciarelli, si parla di una provenienza lontana: miele, mandorle e zucchero ci riportano all’Oriente anche se il marzapane “alla senese” profumava d’arancio immergendoci così in contaminazioni derivanti dalla Sicilia. La leggenda più nota relativa ai ricciarelli narra che un senese, Ricciardetto della Gherardesca di ritorno dalle Crociate nel suo castello vicino a Volterra porta con sé questi dolci “arricciati” (da qui il nome” come le scarpe dei sultani arabi. C’è poi chi li vuole una evoluzione raffinata dei “morselletti”(ovvero: bocconcini di cosa buona, come dice Tommaseo) o “marzapanetti alla senese” presenti su tutte le tavole nobili cittadine nelle più importanti occasioni.

Ma è il panforte a conquistare il podio di “dolce nazionale” della nostra città, o, meglio, il suo antenato: il panpepato o il “pan melato”. Molte le leggende fiorite intorno alle origini del panforte: Nicolò Salimbeni, leader della “brigata spendereccia”, avrebbe donato alle monache di Monte Celso (sempre loro col colesterolo a mille!) un’intera partita di spezie. Una suorina l’avrebbe trovata, e dopo averle mischiate le avrebbe messe a cuocere creando una vera leccornia. Un’altra tradizione vuole che una tal suor Berta, sempre di Monte Celso, avrebbe offerto questo dolce al Cardinale Ottaviano degli Ubaldini, fratello di Ubaldino degli Ubaldini (colui che Dante Alighieri mette nel Purgatorio perché era una persona particolarmente golosa), il quale gradì molto la novità dolciaria (evidentemente la golosità era una caratteristica di famiglia). Un’altra tradizione narra di una tal suor Ginevra la quale essendo stata chiusa in un convento a causa di un amore impossibile (guardate che non è un caso che tutte le storie si svolgano nei conventi, sedi di spezierie) mentre stava preparando un pane dolce, un pane mielato, sente la voce del suo amato dato disperso nelle Crociate, e dall’emozione le cadono spezie, pepe e canditi in questo dolce creando, così, un qualcosa di unico. Oppure Suor Berta, nel ‘500 (intorno alla metà del secolo), si sarebbe inventata questo dolce per corroborare e alleviare il morale dei senesi posti sotto assedio. Ma suor Berta non si era inventata nulla perché la leggenda più conosciuta su questo dolce arriva fino a Montaperti dove, si dice, i senesi andando in battaglia si sarebbero portati dietro ognuno un panforte, per “ricevere forza” visto l’alto valore nutrizionale. E per farlo stare in tasca come fecero? Lo fecero rotondo!

Ma abbiamo iniziato parlando della “liturgia” dei dolci e come prosegue dopo le feste natalizie? Allora: da Carnevale a San Giuseppe si mangiano le frittelle di riso, da Carnevale a Pasqua si va di “cenci”, a Pasqua c’è la “schiacciata all’anice”, d’estate, come gelato, ci sono i “baci di Siena”, la mattina che danno i cavalli si mangiano i bomboloni. Poi si arriva ad ottobre ed è tempo di Pan co’ Santi fino al 2 novembre per poi ricominciare con ricciarelli, panforte, cavallucci e copate.

E anche se questo sembra essere un continuo attentato a colesterolo, trigliceridi e chili in più (addio cerniere che si chiudono!) che siano feste “dolci” per tutti!

Maura Martellucci

Tratto dalla mia introduzione storica al libro di Stefania Pianigiani, “Siena, la grande dolcezza. Ricette dei dolci tradizionali senesi” (Betti Editrice SI, 2022)

 

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