Il “duro” rientro prende sempre più forma tanto che l’aggressione della normalità mal si combina con lo straordinario viaggio ricco di emozioni e sensazioni vissuto dal nostro Luca… per fortuna restano i sogni: quelli non li tocca proprio nessuno! Il viaggio di Luca Gentili dalle parole del suo libro e con la voce di Stefania Ingino.

13 marzo Pokhara

“Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non può finire in nessun altro posto, no?”

Jack Kerouac

Arrivati a Pokhara, per riordinare le idee, serve una sosta per frenare il tumulto di emozioni.

Il ritorno alla realtà lascia i contorni tutti un po’ sfumati, la città con il suo traffico, le mucche sdraiate sulla corsia di sorpasso delle highway, i turisti che si affannano nello shopping, le luci sfavillanti e i suoni che vengono dai locali di musica dal vivo, mi infastidiscono e… improvvisamente mi sento svuotato.

L’unica salvezza è rimontare in moto per fare un giro nella città, consolarsi con il borbottio del motore; l’odore della benzina mi rassicura, ormai si è generato un rapporto simbiotico con il mezzo, io servo lei, lei serve me e il fango che ancora la ricopre testimonia che è stato tutto vero, che non è stato un sogno.

Visito il Peace Pagoda Center, una delle 80 Stupa Buddiste costruite nel mondo come simbolo di pace; dalla cima della collina, in lontananza si scorge, la catena dell’Annapurna, che ora sembra così lontana nel tempo e nello spazio.

Faccio una puntata alle devi’s fall, le ho trovate su una guida turistica come grande attrazione, il nome nepalese è Patale Chango, significa “cascata del mondo sotterraneo”, le cascate si ingrottano e spariscono sottoterra.

È un posto per turisti pieno di bancarelle ricoperte di tonnellate di chincaglierie… nulla di memorabile.

Torno lungo il lago, sono svogliato e nulla sembra più stuzzicare la mia curiosità, lascio la moto e mi incammino sul viale che lo costeggia, la spiaggia, le barche ordinatamente ancorate, i ritrattisti in attesa dei clienti, i venditori di cocco, le donne con i vestiti tradizionali dagli sgargianti colori, piano piano acquietano l’ansia di sfuggire ad una normalità che sembrava non appartenermi più.

 

14 marzo Da Pokhara a Bandipur.

Una società di persone che non sognano non potrebbe esistere. Sarebbero morti in due settimane.

William Burroughs

Il viaggio di ritorno è una sorta di decompressione verso la vita di tutti i giorni, mi immetto nel traffico caotico del Nepal  in un fiume di mezzi, camion, trattori, moto, biciclette, trabiccoli a due, tre e quattro ruote  dalle fogge più improbabili e con una unica missione: arrivare prima possibile alla meta mettendo alla frusta tutti i cavalli vapore a loro disposizione, su strade piene di buche, guidati da conducenti traballanti come i loro mezzi.

L’antica cittadina di Badipour ti accoglie in maniera sorprendente, stupisce per la sua conservazione, ti invita a percorrere, udite udite le sue strade prive di traffico, a camminare sul lastricato di pietra della strada centrale, a perdersi nei minuscoli negozi con gli ingressi incorniciati da colonne di legno scuro finemente intarsiate e… insomma, ogni dettaglio è un piacere per gli occhi.

Alzi lo sguardo e le facciate sono perfettamente composte, ordinate, sembra che il tempo abbia graziato questo piccolo borgo di commercianti appollaiato sulla ripida collina.

Le donne sono indaffarate a cucinare, cucire, trasportare enormi carichi legati sopra la testa: sembrano il solo motore di questa economia, gli uomini appaiono per lo più ciondolare nei minuscoli locali con lo sguardo perso nel vuoto in attesa di qualcosa che mai accadrà.

Con gli amici ci fermiamo a mangiare e come sempre chiedo cibo no spicy, ho una intolleranza alla capsaicina, il gentile cameriere mi rassicura e poco dopo mi viene servito un magnifico piatto di riso, verdure, pollo, una minestrina gialla ai cereali, yogurt e una salsina rossa, l’insieme ricorda molto il cibo indiano.

Comincio ad esaminare le ciotoline ordinatamente poste si un grande piatto di ottone, cerco di capire come affrontare la cena, vediamo…

Il riso è bianco e mi sembra innocuo, le verdure presentano una velatura gialla sarà il cumino, il pollo non mi convince, comunque, coraggio, cominciamo con la minestra, è aggredibile leggermente speziata si può sopportare, la spengo gettandoci dentro del riso, fuori uno, le verdure pizzicano di più meglio evitare, proviamo il pollo, inavvicinabile, ho la bocca in fiamme, trangugio un boccale di gorkha gelata che sembra anestetizzare un po’ l’incendio, poi mi balza agli occhi lo yogurt forse sono salvo, il suo sapore acidulo e morbido mi permette di recuperare la bocca, che sembrava ormai estranea al mio corpo.

Luca Gentili

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