Oggi si celebra la Giornata mondiale del malato. E’ una ricorrenza della chiesa cattolica  in cui vengono diffusi ancora di più messaggi di speranza e amore nei confronti di tutte le persone che stanno vivendo un momento delicato e non sono in salute. Ma la malattia è davvero una lotta? E’ una domanda che abbiamo posto a QuaViO odv associazione senese che, da più di 30 anni, si occupa di cure palliative e, dunque, di qualità della vita fino all’ultimo istante. Ecco come ci hanno risposto Rosangela Palmas volontaria di QuaViO odv e coordinatrice del gruppo AMA (Auto Mutuo Aiuto) e Vanna Galli presidente di QuaViO odv

Sono stata sollecitata a scrivere due righe per la giornata mondiale contro il cancro e ho scritto sul disvalore, a mio giudizio, di considerare la malattia come una guerra da combattere e da vincere.

Troppo spesso quando si narrano esperienze di malattie gravi si avvicina il termine guerra al tentativo della persona di reagire e “combattere” la malattia. Il malato diventa un guerriero e viene incitato a esprimere le sue migliori “forze” per reagire.

Certo, la predisposizione della persona è essenziale e può fare la differenza, ma talvolta la malattia va avanti comunque fine al suo più estremo epilogo. E quindi questi guerrieri hanno perso o non hanno saputo lottare? I loro cari non sono stati in grado di aiutarli e dar loro la giusta motivazione?

Il concetto di lotta è figlio del nostro tempo, che esalta il benessere e relega la sofferenza e la malattia a qualcosa da “risolvere” in breve e possibilmente senza troppo disturbo per gli altri. Ovviamente con il lieto fine. Per cui devi combattere e vincere. Punto.

Il malato di cancro, soprattutto quando la malattia viene diagnosticata in stadio avanzato, è debole, lo assale una grande stanchezza e sente un’enorme fatica. Il suo desiderio spesso è quello di riposare, perché deve affrontare il dolore fisico e morale, la paura sua e quella dei suoi cari. Se c’è amore intorno a lui, spesso diventa quasi una gara a farsi coraggio a vicenda, nascondendo il proprio terrore e ispirando lui speranza ai suoi cari. Poi ci sono le terapie che debilitano talvolta in modo molto grave, togliendo ogni energia e straziando il corpo e l’anima.

Di fronte a tutto questo, il malato deve sentirsi stimolato a lottare? Mai a mio giudizio termine fu meno appropriato. La malattia per me non è una battaglia da vincere senza prigionieri e il malato ha il diritto di non essere forte, di avere paura, di chiedere un disperato aiuto, di sentire anche di non farcela. La lotta presuppone che il malato “debba” farcela, comunque lui senta e comunque si senta. E invece quello è il momento in cui ha più diritto di sentire anche di volersi arrendere, di aver bisogno di urlare la sua fragilità.

E’ il momento in cui a lottare dovrebbero essere altri per lui, senza aggiungere al dolore e alla paura anche il senso di colpa e di inadeguatezza. Il decorso della malattia appartiene alla scienza, ma diventa poi misterioso il suo procedere. Situazioni analoghe hanno epiloghi totalmente diversi. Non si può generalizzare e pensare che basti “lottare” per farcela. E quando la via è segnata, meno che mai si può chiedere al malato di “lottare”, di trovare dentro di sé forze che non ha più, facendogli sentire colpe che non ha. Piuttosto, è il momento della dolcezza, della comprensione, della compagnia, dell’ascolto. Non deve più sentirsi coraggioso e forte, ma amato. Accompagnato con comprensione e rispetto.

Questo è a mio giudizio il grande valore delle cure palliative, per una malattia e un fine vita dignitosi, consapevoli, in un percorso che lascia umanità fino all’ultimo istante.

Rosangela Palmas volontaria di QuaViO odv e coordinatrice del gruppo AMA (Auto Mutuo Aiuto)

Il tema centrale del vivere la malattia è qualcosa su cui bisognerebbe continuare a riflettere perché in questo punto, nella lotta che è guerra e perciò distruttiva e non vita, sì debole, ma costruttiva, sta la grande differenza del significato che diamo alla vita.

Ha ragione la cara Rosangela che  ha affrontato con le giuste parole un concetto difficile. Confesso che, soprattutto nei primi anni di vicinanza al malato, riuscivo a vedere emergere nei suoi giorni solo la lotta, ed era agonia. Solo in seguito ho potuto distinguere una sorta di vita lottata, ma vita, vissuta comunque essenzialmente al livello fisico. Se non si riesce a fare un salto uscendo dai confini della nostra fisiologia, per aprirci a nuove esperienze di apprendimenti, di incontri con noi stessi e con gli altri, di gioia, di affetti, di mente, di anima e di spirito, se cadiamo preda della paura soltanto e della lotta di una parte del nostro corpo contro un’altra parte di esso stesso, la vita che resta diventa agonia.

Parola questa che tutti temiamo, quando vediamo una persona che lotta contro il suo male, contro il suo corpo, contro una parte di sé, che diventa il tutto di sé, e soffoca tutte le altre potenzialità creative.
La vita è vita sempre e va vissuta con apertura delle mente e del cuore.

Vanna Galli, Presidente di QuaViO odv (Qualità della Vita in Oncologia)

Per saperne di più

www.quavio.org

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