Daniele Mencarelli pubblica una nuova opera, “fame d’aria”, e lo fa a modo suo, tornando ad un tema forte, anzi fortissimo: in questo caso è l’amore genitoriale messo alla prova dalla presenza di un figlio autistico a bassissimo funzionamento.

Il rapporto fra l’uomo e quello che lui nomina, fra sé e sé, “Scrondo”, come il personaggio televisivo che negli anni ’80 rappresentava il marcio della televisione italiana, è il tema che percorre tutto il racconto.

La storia si sviluppa a Sant’Anna del Sannio, uno sperduto paese del Molise, dove il tempo sembra essersi fermato.

Pietro, il padre e protagonista, in compagnia del figlio Jacopo, autistico, è in viaggio per raggiungere Marina di Ginosa, in Puglia, dove dice di essere atteso per festeggiare con la moglie, e le rispettive famiglie d’origine, l’anniversario del loro matrimonio. La Golf su cui viaggiano, però, ha un guasto e i due sono costretti a fermarsi tutto il finesettimana, durante il quale il meccanico Oliviero sostituisce la frizione della vecchia auto di Pietro, presso l’unica pensione del paese, gestita dalla vedova Agata, aiutata da una non giovanissima cameriera, Gaia, che, con la sua leggerezza ed umanità, riempie per qualche brevissimo istante catartico la mente dell’uomo, distogliendolo dal dolore per quella vicenda umana che ha toccato la sua famiglia, con l’arrivo di Jacopo.

La narrazione, in realtà, riguarda solo ciò che avviene fra padre e figlio in una situazione che sarebbe normale per tutti, ma non per un autistico a bassissimo funzionamento: basta un battito di mani rivolto alla cuoca dagli occupanti di un tavolo a fianco a quello dove siedono i due protagonisti per scatenare la reazione del ragazzo.

Il dramma vero del padre, che ha dilapidato ogni suo avere per tentare di strappare Jacopo alla sua condizione di inabilità e di incomunicabilità, e che ora è perseguitato da debiti che sa che non potrà mai saldare, sta nella consapevolezza dell’apparente assenza di un sentimento amorevole verso il figlio.

E’ solo quando tutto sembra volgere nella direzione prestabilita dall’uomo che l’azione di Gaia, Agata e Oliviero determinano un finale diverso, restituendo al padre un’umanità che aveva perduto.

Come tutte le opere di Mencarelli, anche questo romanzo trascina il lettore in un solco in cui convivono tragedia e rinascita: benché quest’opera prenda le distanze dal tema autobiografico che aveva caratterizzato la precedente trilogia, composta da “La casa degli sguardi”, “Tutto chiede salvezza” e “Sempre tornare”, anche in “fame d’aria” l’autore non rinuncia a confrontarsi con un tema tragico le cui connotazioni ricadono drammaticamente sull’esistenza dei singoli.

Dal punto di vista stilistico, anche in “fame d’aria” la prosa di Mencarelli resta quella dell’autore poliedrico, poeta e narratore, in cui il lessico, anche quando è infarcito di espressioni che rasentano la crudeltà, è scelto, ricercato, aderente al pensiero che sta porgendo al lettore.

Nel video sotto una breve intervista all’autore in cui lui stesso spiega i perché che sono dietro la sua opera.

Marina Berti

 

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