Archivi tag: Memoria

Il ricordo di Francesco Muzzi “vive” a San Miniato

La famiglia Muzzi ha fatto un gesto lodevole che merita di essere raccontato e divulgato sia per il significato del gesto in sé e sia per il ricordo che il dono racchiude per la famiglia e per gli abitanti di San Miniato. Donato un defibrillatore 

Alla fine dello scorso anno purtroppo è venuto a mancare Francesco, capostipite della famiglia Muzzi e babbo di Massimo ed Alessandra, volontari di Siena Cuore. La perdita è stata dolorosa e sentita, oltreché dalla famiglia, anche da tutta la comunità che è stata sempre vicina e di supporto.  Su consiglio di Juri Gorelli – presidente di Siena Cuore e amico dei due fratelli – la famiglia decide di acquistare un defibrillatore con le offerte ricevute dagli amici in occasione del funerale del loro caro babbo e farne dono al quartiere di San Miniato.

Questa idea ha trovato subito il consenso del Comitato Siena 2, attivo nel quartiere e sempre attento ai bisogni ed alle richieste dei cittadini, tantoché domenica 22 gennaio scorso, alla presenza del Presidente di Siena Cuore ODV Juri Gorelli, il Presidente del “Comitato Siena 2 cittadini attivi e associazioni per i beni comuni ODV” Roberto Beligni, il Coordinatore provinciale della Consulta del Volontariato della Protezione Civile Ezio Sabatini, il consigliere della Associazione Nazionale Mutilati in Servizio Machetti Martino e una rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri, è stata inaugurata una nuova postazione DAE ed affissa una targa commemorativa dedicata a Francesco Muzzi.

 

 

 

 

 

La famiglia commossa ha ringraziato tutti coloro che si sono adoperati per la messa in funzione del nuovo apparecchio: simbolo di pace vicinanza ed accoglienza.

Massimo e Alessandra Muzzi, fratello e sorella infermieri dedicano il loro tempo libero all’associazione Siena Cuore fin dalla nascita della stessa, nel 2015. Massimo ci racconta che fin dall’inizio ha abbracciato e ha contribuito a realizzare l’idea nata da Juri che, osservando la modalità operativa di altre realtà del nord Italia in cui la presenza dei defibrillatori nei luoghi pubblici era già “operativa” oltreché utilissima, ha pensato di portarla anche a Siena.

Da allora, è stato un crescendo di iniziative e di corsi dedicati ai bambini di scuole elementari e medie, ragazzi degli istituti superiori e giovani universitari; ma l’associazione non si ferma qui: ha esteso la sua formazione alle Contrade, ad enti privati, ai Comuni limitrofi arrivando fino a Grosseto. Oltretutto il personale formato all’uso del defibrillatore, una volta conseguita l’abilitazione, attraverso la domanda di accreditamento, può a sua volta divenire formatore ed insegnare ad altre persone.

Il defibrillatore donato dalla famiglia Muzzi sarà oggetto del corso di formazione organizzato per il prossimo 25 marzo nell’auditorium di San Miniato, al quale parteciperanno numerosi abitanti del quartiere.

L’inaugurazione della nuova postazione DAE a San Miniato

Un sentito ringraziamento anche da parte della redazione di sienasociale.it per l’encomiabile gesto, che renderà il quartiere di San Miniato più sicuro e cardio-protetto.

Stefania Ingino

Nella foto principale Massimo ed Alessandra Muzzi

 

L'esatto punto nel bosco dove sorgeva il rifugio

Circolo di Villa a Sesta: storia e memoria con “Shalom Italia”

Una giornata dedicata alla memoria domenica 5 febbraio. Ad organizzarla il Circolo di Villa a Sesta in collaborazione con il Gruppo Escursionisti Berardenga. Un appuntamento fortemente voluto per favorire sport e attività all’aria aperta con un ideale viaggio nel passato alla scoperta della famiglia Anati, composta da ebrei fiorentini, che nel 1943 trovò rifugio proprio in zona
 
La giornata si aprirà con il trekking di circa 6 km (per prenotazioni info.gebsiena@gmail.com). A seguire il pranzo (da prenotare entro il 4 febbraio) con la proiezione, alle ore 15.30, di “Shalom Italia” il film tratto da una storia vera. Interverrà il professor Fabio Mugnaini  dipartimento di Scienze Storiche e Culturali, università di Siena.
Ecco la storia della famiglia Anati
 
Durante la notte del  8/11/1943 un amico della famiglia Anati, agiati ebrei fiorentini, bussa alla porta della loro bella abitazione nel centro di Firenze.
Durante la giornata gli Anati, come altri centinaia di ebrei fiorentini, avevano ricevuto una convocazione del comando tedesco che intimava loro di presentarsi, la mattina del giorno 9/11/1943, alla stazione di Santa Maria Novella per essere avviati verso dei non meglio identificati “campi di lavoro”.
L’amico è molto netto e preciso: non dovete presentarvi, quei treni finiranno ad Auschwitz e non ritornerete, mai!
La famiglia Anati da tempo aveva preparato un piano di fuga: tramite la loro governante di casa, Ines Secciani, avrebbero dovuto raggiungere il paese di origine della Ines, un piccolo e sperduto borgo nel chianti di nome Villa a Sesta.
Li il fratello di Ines, Archimede, ed altri paesani avrebbero fornito ospitalità agli Anati in un posto che al momento era da considerarsi tranquillo e lontano dai problemi dei rastrellamenti.
Fu così che la famiglia Anati lasciò la loro bella e comoda abitazione per raggiungere, dopo qualche giorno di viaggio, la destinazione di Villa a Sesta.
Gli Anati affittarono una casa per Babbo, Mamma e i 4 figli. La Nonna, che aveva bisogno di cure ed assistenza, andò ad abitare nella casa di Archimede con Ines.
La tranquillità durò pochi mesi, il fronte di combattimento tra l’esercito alleato e i tedeschi si avvicinava sempre più e il signor Anati non voleva farsi trovare impreparato: con la complicità di Archimede Secciani (muratore/piccolo impresario edile)  e di Vasco Corti (carbonaio/tagliaboschi) avevano preparato un piccolo rifugio nei boschi, in posizione abbastanza lontana dal paese e da qualsiasi sentiero, dove potersi rifugiare nel caso che la situazione in paese si fosse fatta troppo pericolosa.
Cosa che puntualmente avvenne e la famiglia Anati (Babbo, mamma, Nonna e i 4 figli) passeranno circa 3 mesi nell’inverno 1943-1944 nella capanna, senza nessun tipo di comfort se non una piccola sorgente di acqua nei pressi della capanna.
Con la complicità di Archimede, Vasco e di tutto il paese di Villa a Sesta che non li denunciò alle autorità tedesche, la famiglia Anati riuscì a salvarsi, fece ritorno a Firenze ma non potè riappriopriarsi della propria casa (requisita e non più restituita). Le vicende vissute, seppure con esito migliore di tanti altri conoscenti e amici, lascerà un segno troppo grosso da sopportare e decisero di trasferirsi in Israele. Uno dei fratelli morirà in giovane età, gli altri 3 studieranno e diventeranno:
Emanuele un famoso archeologo che tuttora svolge la sua attività di ricerca in Italia nella provincia di Brescia.
Andrea un famoso scalatore che aprirà numerose vie di scalata in Israele;
Ruben (detto Bubi), il piccolo di casa, un professore universitario di fisica.
Bubi, che al tempo del rifugio di Villa a Sesta era un bambino di circa 6 anni, questa storia non riesce a dimenticarla, forse perchè per lui questa “avventura” era sembrata un gioco e per lui diventa una ossessione cercare e trovare la capanna del bosco.
Bubi trascorre le sue estati in Italia, nell’appennino aretino dove ha acquistato una piccola casa e spesso viene a Villa a Sesta per le sue ricerche. Ritrova Nada Secciani, la figlia di Archimede e cerca in modo ostinato domandando a tutti coloro che a quel tempo c’erano, informazioni per trovare il loro rifugio del 1943/1944. Finalmente nel 2017 con l’aiuto di Emanuele e Andrea ritrova la capanna nel bosco, documentando questa ricerca con un docu-film dal titolo “Shalom Italia”. Successivamente nella capanna nel bosco Bubi pianterà un cartello della memoria che descrive brevemente questa vicenda e che ringrazia le persone che hanno contribuito, a rischio della loro stessa vita,a salvare la loro famiglia facendo non la scelta più comoda, ma “la scelta giusta”!
Alessandro Tadiello
 
per saperne di più
Chiara Veneri e il suo Simone

“In hospice l’amore si è moltiplicato”: Chiara ricorda Simone

Riceviamo e pubblichiamo il bellissimo ricordo di Chiara. Parla di un uomo, il suo uomo, portato via da una malattia. La cosa meravigliosa è che Chiara, comunque, parla di un amore sopravvissuto alla morte.

Eravamo una coppia come tante altre, non sempre era facile andare d’accordo, entrambi con una forte personalità e poco inclini a fare un passo indietro quando necessario. Ma eravamo insieme da 18 anni e per gran parte del tempo siamo stati felici.
Poi una mattina all’improvviso una crisi epilettica ha mandato in frantumi il nostro mondo e soprattutto ha decretato la fine della vita di Simone, a soli 57 anni.

In appena 9 mesi se n’è andato per sempre, con una sofferenza inumana per entrambi.
Ma lui, fino a che ha potuto comprendere, mi ha voluto proteggere pur sapendo cosa stesse succedendo alla sua vita, ha sempre mostrato la sua forza per rassicurarmi.
Poi é stato operato al cervello e non é stato mai più lo stesso Simone che conoscevo.
Ho sempre creduto che quel suo deficit cognitivo dopo l’operazione, gli abbia consentito di superare in qualche modo quei momenti terribili da solo in ospedale e poi al centro di riabilitazione. Era tornato ad essere come un bambino, aveva bisogno di tutto e ciò che più desiderava, era tornare a casa sua

E c’è tornato per alcuni mesi durante i quali mi é stato possibile donargli tutto quello che potevo per alleviargli l’agonia. Mi ha chiamata col nome di sua madre milioni di volte… sembra che quando una persona si avvicina alla morte ricorda solo la propria madre e a lei rivolge ogni grido di aiuto.

E così faceva anche Simone, specialmente durante la notte quando le tenebre lo avvolgevano e risvegliavano ogni sua paura. Allora mi accucciavo in fondo al suo letto e lo accarezzavo per ore fino a che non si calmava. E così arrivava l’alba, quando la luce del giorno lo avvolgeva nel suo abbraccio e lui allora si lasciava trasportare in un sonno profondo.

In questo modo siamo andati avanti durante quei mesi a casa insieme.
Quel periodo mi ha permesso di donarmi a lui con tutta me stessa, mi dicevo che non avrei voluto passare neppure un minuto del mio futuro con il senso di colpa, per non essergli stata abbastanza vicina. Io in quei mesi ho imparato l’amore, quell’uomo pragmatico, così razionale ed estremamente intelligente, pratico e spesso poco incline a lasciarsi andare, alla fine mi ha insegnato l’amore, mi ha insegnato ad amare nella maniera più pura, quando sai che é l’ultima occasione che hai di regalare amore a chi ami.

E poi siamo andati all’hospice perché il momento fatidico si stava avvicinando. Ed è proprio all’hospice che quell’amore si è moltiplicato e lì ci siamo ringraziati per la prima volta in 18 anni, per essere lì insieme, per avere quella opportunità, per provare quella forza e quell’amore. Fino all’ultimo respiro, quella mattina all’alba del 3 settembre 2021.

Quando mi sono accorta che non respirava più, gli ho detto che non lo avrei mai dimenticato e gli ho promesso che da quel momento in poi avrei pensato io a me stessa e che lui se ne poteva andare tranquillo, finalmente libero da ogni responsabilità.

Questo è ciò che ho imparato da quella esperienza ed è ciò che mi sostiene oggi. L’amore che ho provato, la forza che ci siamo dati e la scelta di dedicarmi a me stessa, al mio benessere e al mio futuro.

Ho una sola missione oggi… onorare la mia vita oltre ogni limite, per me e per Simo.

Chiara Veneri

Chiara Veneri oggi

Sonia:”non ho potuto tenerti la mano”

Il ricordo. La memoria. È qualcosa di importante,  da salvaguardare. Sempre. 

Per questo pubblichiamo la foto della volontaria di QuaViO odv, Sonia Rosini, che riporta, su Facebook, un bellissimo ricordo della cara mamma. Eccolo:

Due anni fa te ne andavi anche tu come tanti altri vittima del covid, sei svanita e non ho potuto nemmeno tenere la tua mano tra le mie per accompagnarti nel tuo ultimo viaggio. Un dolore che si rinnova”.

Sienasociale.it abbraccia Sonia e la ringrazia per questa bellissima testimonianza.