Dopo il parere tecnico (psicologico) e giornalistico, di Cristina Rigacci e Maura Martellucci che ci hanno sottolineato l’importanza di mantenere alta l’attenzione sul cyberbullismo, oggi scegliamo di valutare la problematica da un’altra angolazione.

 

Proviamo a comprendere un punto di vista giovane, di chi, data l’età, vive sulla propria pelle ogni cosa con la spensieratezza ma anche con la giusta dose di realismo. Incontriamo Benedetta, 18 anni, studentessa senese prossima alla maturità, che ci spiega la sua visione.

Le chiedo di darmi una definizione di cyberbullismo “è bullismo su internet, si potrebbe definire una forma di violenza psicologica che parte da ragazzi tendenzialmente insicuri che vivono un disagio personale e che riversano quest’emozione su altre persone con l’intento e la volontà di ferirle ed in qualche modo farle stare male”.

Come mai è così tanto diffuso? “Lo sviluppo tecnologico e l’uso dei social network permette anche (e purtroppo) di abusare delle parole, di usarle male e questo a volte succede senza la consapevolezza della conseguenza. È inoltre un atteggiamento assecondato dal potersi nascondere dietro a dei nickname che fanno sentire al sicuro. Troppo poco spesso subentra la riflessione pensando al peso che queste parole possano avere e alla ripercussione che possano generare in chi le riceve. A volte credo che parte di questo atteggiamento sia dettato da una forma di cattiveria vissuta o subita e che, non sfogata in altri modi, i carnefici riversano sulle loro vittime”.

Cosa pensi quindi delle vittime e perché queste si lasciano così influenzare? “Dipende dal carattere e dalle esperienze vissute. Nessuno di noi può sapere dettagliatamente i trascorsi di vita di altri, se questi abbiano subito dei traumi infantili o vissuto esperienze dolorose. Va da sé che chi è più fragile caratterialmente e psicologicamente, verrà colpito. Inoltre queste persone, per paura del giudizio o di perdere la stima altrui, tendono a non esporre la problematica ad amici e familiari; c’è da dire anche che forse inizialmente credono di vivere una condizione insignificante o risolutiva a breve. Purtroppo però, con il tempo, alcune di queste situazioni degenerano in un malessere più grande, difficile da gestire emotivamente. Fino ad arrivare in alcuni casi, a creare suicidi perché non si intravede alcuna via d’uscita”.

Quale potrebbe essere un suggerimento sia per i giovani e sia per coloro che si occupano della tematica? “Sensibilizzare la popolazione giovanile con incontri formativi e divulgativi; integrare i programmi didattici con interventi costanti da parte della Polizia Postale e professionisti informatici. Alle vittime cercare di spiegare di dare il giusto peso alle parole ricevute e soprattutto lasciar intendere che chi dice di volere il loro male, è solo la minoranza rispetto a tanti altri che li amano. E allo stesso tempo rassicurarli sul fatto che possono denunciare ed essere ascoltati. Far vedere loro che si può uscire da questo malvagio labirinto psicologico. Insomma non farli sentire soli!”.

Che le parole di Benedetta arrivino a tanti giovani coinvolti ma non solo: a scuole e istituzioni che, di pari passo con la famiglia, sono colonne portanti e punti di riferimento.

Stefania Ingino

per saperne di più

Adolescenti e cyber-ambiente istruzioni per l’uso

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