Continuano i racconti di Luca Gentili, così emozionanti e veri da portarci lì, con lui, a visitare posti e ad annusare profumi. Ma anche a vivere emozioni inaspettate, tanto cariche di verità che a volte sono un grande e silente insegnamento per la realtà in cui viviamo: come sempre, buon viaggio! Proveremo a farvi viaggiare con le parole scritte e con la voce attraverso il podcast che potete scaricare sotto. 

05 marzo dal diario del primo giorno

 “La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.”  Charles Bukowski

Sono salito in aereo, oggi mi aspetta un lungo volo da Roma a Istanbul e da Istanbul a Kathmandu; cerco di riposare ma non riesco, i compagni di viaggio sono sparsi intorno a me, ognuno appallottolato sul proprio sedile alla ricerca della migliore posizione per poter recuperare alla fine del volo i propri arti ancora funzionanti.

L’aeroporto internazionale Tribhuvan (Kathmandu) è uno degli aeroporti più alti al mondo, l’aereo approccia l’unica pista con un’ampia virata, sembra volerti far intravedere la bellezza delle cime innevate che lo circondano, quando si abbassa la turbolenza lo fa vibrare sembra cercare di smontare la struttura che messa in tensione geme e si contorce.

L’aereostazione è quanto di più improbabile puoi trovare in una capitale, i banconi sono di legno, i moduli da riempire all’arrivo sono pizzini di carta così fina da essere trasparente.

Chi ha una penna? Ci guardiamo spauriti non siamo abituati a questo mondo; qui non c’è nulla di analogico, intorno a noi, in ogni dove gli occhi di Buddha stilizzati sembrano seguirti come quelli di certi quadri.

Devi entrare nel mood mi dico, sentirti protetto dalle sopracciglia inarcate del budda, osservare gli occhi allungati che simboleggiano la saggezza, fissare il terzo occhio per la visione interiore e non lasciarti sorprendere dal naso disegnato come una specie di punto interrogativo è così per invitarti a metterti in discussione… e la bocca …, la bocca non c’è, questo evidenzia l’importanza della meditazione che va ben oltre le parole.

Dopo la giusta riflessione, io una parola devo però dirla, la penna che ho tanto atteso non scrive!

06 Marzo Kathmandu Hotel Blue Horizon

Mi sveglio in una Kathmandu caotica, polverosa, traboccante di umanità, so già che le formalità metteranno a dura prova la mia pazienza e visto la profonda spiritualità di questi luoghi, dove tutte le energie fluiscono e si bilanciano attraverso i Chakra, spero in un aiuto divino per sopravvivere alla burocrazia.

Dopo tre ore e tre distinte file, ho finalmente conquistato la Registration Card for Individual Trekkers, il mio passaporto per l’Annapurna Conservation Area.

Però nel frattempo è passata l’intera mattina, salto sul pulmino che abbiamo noleggiato e vado a controllare le moto; l’uomo alla guida parte e immediatamente si impasta in un traffico vischioso e impossibile, che non sembra avere una direzione logica, alla fine si ferma in una viuzza laterale di un anonimo quartiere. Un solerte meccanico ci accoglie, ha un lurido straccio in mano con cui pulisce serbatoi e selle spargendo l’olio motore ovunque.

Le sei Royal, disposte su due file, ci attendono, le accendiamo, ascoltiamo il borbottio del motore, saggiamo i freni, controlliamo i documenti, firmiamo i moduli.

Domani mattina partiremo presto ma ora il sole è ancora alto e ci rimane un po’ di tempo per visitare Kathmandu.

Da bravo turista mi sono segnato alcuni luoghi imperdibili, il primo è il Pashupatinath Temple, il più importante tempio induista.

Seguendo il flusso di centinaia di persone, immerso in un percorso circondato da decine di bancarelle coperte di mercanzia dai colori sgargianti che un po’stridono con la solennità del luogo, arrivo al grande cancello di ferro che si apre sul fiume Bagmati.

Sulla destra del corso d’acqua c’è una fila ordinata di pire, un altare di pietra con una catasta di legna appoggiata sopra, in cima le salme pronte per la cremazione.

I corpi sono avvolti in teli colorati, i Dom preparano grosse fascine per incendiare la pira. Intorno, tanta gente, chi intento nella preghiera, chi concentrato in gesti antichi di una ritualità codificata. La calma che ci circonda è quasi surreale, interrotta soltanto da qualche venditore ambulante, che tirandoti per la giacca ti riporta alla realtà. Scimmie ti passeggiano accanto si muovono sulla riva sembrano attendere che i sacerdoti riversino le ceneri nel fiume.

La ritualità ostentata dei gesti è qualcosa di molto differente dalle nostre liturgie e la gente ha un profondo rispetto per la casta Indù dei Dom che per eredità si tramanda questo mestiere.

Riparto in direzione di Shree Boudhanath con la grande Stupa Buddista che domina l’antico borgo, i monaci in preghiera girano intorno al monumento, tutti rigidamente in senso orario, dicono le loro orazioni.

Tutto sembra avere un senso, un ordine, nulla è lascito al caso, la base rotonda della cupola dove pregare camminando, le nicchie che simboleggiano gli orecchi del Buddha con l’occhio dipinto al di sopra, l’Harati a forma di ombrello che lo sovrasta e i Mani da ruotare con i mantra all’interno per diffondere la preghiera.

Fermo, seduto a margine e  ipnotizzato osservo la processione continua di monaci e semplice gente.

È giunto l’imbrunire, l’ora del rientro a Kathmandu nella la città vecchia dove alloggio; intorno ci sono ancora evidenti le tracce dell’ultimo terremoto, la stupenda Hanumandhoka Durban Square è ferita, in qualche punto distrutta, ma ancora brulica di vita, sono evidenti i segni della volontà internazionale di restituire al mondo questo gioiello patrimonio dell’umanità.

Ovunque nelle strade e nelle piazze nulla è banale, gli splendidi templi, la vita di ogni giorno, le persone in fila per un piatto di minestra, la realtà è uno schiaffo che ti sveglia, ti fa capire cosa è la vita in queste latitudini e quanto siamo lontani dalla loro dolorosa quotidianità.

Luca Gentili

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